di Federico Pontiggia – tratto da www.cinematografo.it
L’ottavo film in Selezione a Cannes e il sesto in Concorso per il cineasta giapponese Kore-Eda Hirokazu, vincitore della Palma d’Oro nel 2018 per Un affare di famiglia, Premio della Giuria nel 2013 per il suo capolavoro Like Father, Like Son, e in palmares anche con Nobody Knows, valso a Yūya Yagira il premio come miglior attore nel 2004. Con Broker affronta l’impatto dell’abbandono di neonato, ambientando il film in Corea del Sud, la seconda volta all’estero dopo il francese Truth del 2019.
La famiglia, nonché l’attenzione ai giovanissimi, è un Leitmotiv: in Nobody Knows c’erano quattro bambini abbandonati dalla madre, nella Palma Shoplifters il taccheggio familiare degli Shibata, qui si recede alla culla, esplorando il tema delle scatole per neonati, dove i bambini possono essere abbandonati, apparse per la prima volta a Seoul nel 2010 su iniziativa di un pastore.
L’inasprimento della legge coreana sull’adozione, che obbliga le madri single a identificarsi, ha potenziato il fenomeno, sicché Kore-eda s’è deciso per girare in Corea e, dunque, in coreano, complici Song Kang-ho, protagonista di Snowpiercer (2013) e Parasite (Palma d’Oro, 2019), e Bae Doo-na, che ha recitato nei film di Park Chan-wook e delle Wachowski.
Broker segue due “mediatori di buona volontà”, Sang-hyun (Song Kang Ho) e Dong-soo (Gang Dong Won), che collegano i bambini indesiderati con i nuovi genitori sul mercato nero. Quando l’ennesimo pargolo viene lasciato in una notte di pioggia, Sang-hyun e Dong-soo intraprendono un viaggio per incontrare potenziali mamme e papà, ma dovranno fare i conti con la madre biologica (Lee Ji Eun), che si presenta inaspettatamente per unirsi all’avventura.
La tragedia trova la grazia, il dramma l’umorismo, l’abbandono una famiglia allargata, disfunzionale ma piena di accudimento, in cui avrà residenza persino la polizia: accade nel mondo di Kore-eda, che non distoglie lo sguardo dai problemi e dalle miserie, ma nemmeno dalla solidarietà e dalla – possibile? – felicità. Volemose bene? Anche, ma con stile, pudicizia, rigore e, sì, grazia.
La realtà come medio proporzionale tra necessità e virtù, la fiducia nell’umano con il mondo per ipoteca, il cinema come possibilità di incontro e incanto: non è il suo miglior film, Broker, ma ha senso e ha pregio. Ancor più in questa deludente Cannes.
Kore-eda continua a ricordarci che tra nature e nurture maternità e peternità stanno nella seconda, che oltre alla legge e la biologia c’è di più, di meglio: la solidarietà umana, dalla culla e per sempre. E poi, facciamocela una domanda: un’omicida sta abbandonando o garantendo un futuro migliore?
NOTE
– PRIMO FILM IN LINGUA COREANA DEL REGISTA KORE-EDA.
– LE ‘BABY POST BOXES’ SONO CASSETTE DOVE SI POSSONO LASCIARE ANONIMAMENTE I NEONATI QUALORA I GENITORI NON FOSSERO IN GRADO DI ADEMPIERE AL PROPRIO DOVERE, IN MODO CHE POSSANO ESSERE ADOTTATI E CRESCIUTI DA QUALCUN ALTRO.
– PREMIO PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE MASCHILE (SONG KANG-HO) AL 75. FESTIVAL DI CANNES (2022).
CRITICA
“Il regista torna sul tema a lui più caro, quello dell’abbandono, a partire da un fatto di cronaca, ovvero il fenomeno dei “baby boxes” apparsi per la prima volta a Seoul nel 2010 per iniziativa di un religioso, versione asiatica delle “ruote degli esposti” che nelle chiese italiane accoglievano i neonati abbandonati proteggendo l’anonimato di chi si liberava di loro. I personaggi messi in scena da Kore-eda in fondo si assomigliano tutti: ci appaiono subito campioni di virtù, poi si rivelano all’ opposto di quello che sembrano, quasi dei mostri, per poi farci scoprire la loro grandissima umanità nascosta dietro comportamenti sbagliati, nati però dalle migliori intenzioni. L’ ambivalenza delle figure genitoriali nella società contemporanea e la famiglia ricomposta grazie a legami profondi che vanno oltre quelli di sangue restano la grande ossessione di Kore-eda, che non ha mai smesso di riflettere sulla necessità di un nuovo umanesimo oltre ogni regola e convenzione.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 26 maggio 27 maggio 2022)
“La storia, che si colora anche di divagazioni gialle (…) richiama un precedente film di Kore-eda, ‘Affari di famiglia’, ribadendo anche qui la lontananza del regista da ogni imposizione morale. Non sono certo i legami di sangue che formano le famiglie, ma piuttosto la disponibilità ad amare e la generosità verso l’altro, anche se una trama che alla fine vuole dire troppe cose (…) toglie al film la forza di altri capolavori del regista giapponese.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 27 maggio 2022)